venerdì 18 luglio 2014

Amazon come Spotify: idea geniale o bomba atomica sull'editoria tradizionale?

Jeff Bezos, fondatore e CEO del celeberrimo Amazon sembra ormai pronto a lanciare  nel mondo dell'editoria statunitense l'ultima grande trovata del colosso americano dei libri: Kindle Unlimited
Conoscete Spotify? Ecco, la storia è un po' la stessa. Il consumatore avrà a disposizione un vastissimo catalogo di e-book in streaming (in pratica una biblioteca digitale dalla portata iniziale di 600.000 titoli), a cui potrà accedere tramite il pagamento di 9.99$ al mese. Un'occasione straordinaria per il lettore che potrà avere a disposizione un mare di libri per un prezzo irrisorio. Scommetto che anche i lettori più "materialisti" sarebbero disposti a lasciar passare la mancanza di una copia da poter definire propria. 
L'idea non è nuova: non solo Netflix offre lo stesso servizio in America con le serieTV (e si prepara ora a sbarcare oltreoceano), ma esistono già servizi quali Scribd e Oyster che fanno più o meno la stessa con i libri. Però Amazon è Amazon e ogni cosa che la multinazionale di Bezos sembra lanciare diventa automaticamente una miniera d'oro. Pensiamo al mondo degli e-reader e degli e-book che andava avanti sonnecchiando prima dell'arrivo del rivoluzionario Kindle. Da allora in poi la competitività sul mercato è nettamente aumentata e sia aziende di elettronica che case editrici sono state costrette a stare al passo coi tempi. 
Stessa cosa potrebbe accadere con questo nuovo servizio. Amazon ha già una forte influenza sul mercato del libro, il che lo aiuterà di certo ad avere una buona schiera di editori ad aderire a questo nuovo progetto e ad ampliare sempre più la sua offerta. 
C'è però una domanda fondamentale: tutto questo è un bene? Parliamoci chiaro, l'idea è sicuramente brillante sotto molti punti di vista specialmente in rapporto al consumatore. Si tratta pur sempre di 600.000 libri ad un costo mensile forfettario, in America con 9.99$ arrivi a comprare la versione e-book di tre ultime uscite, in Italia con 9.99€ un solo e-book e deve pure andarti bene. Un simile servizio farebbe gola a tutti i lettori e potrebbe anche crearne di nuovi specialmente tra i giovani, attirati magari dalla digitalizzazione del tutto. Inoltre viviamo in un periodo in cui il libro non è più visto come un prodotto di cultura sul quale vale la pena investire del denaro, bensì come un qualsiasi prodotto commerciale sottoposto alla regola del "meno costa meglio è". In tutto questo ciò che mi preoccupa non è dunque il lodevole servizio
quanto la multinazionale che lo offre. Amazon è entrato nell'ecosistema del mondo editoriale con la delicatezza di un elefante e questo spesso, oltre a sconvolgimenti positivi come quelli già detti, ha portato anche una serie di effetti negativi. Di molti vi avevamo già parlato in questo articolo, ma particolare attenzione meriterebbe l'ultima controversia con la casa editrice Hachette, contro la quale il colosso americano ha effettuato una vera e propria campagna di ostruzionismo in seguito a delle controversie contrattuali circa un abbassamento di prezzi che intendeva porre sugli e-book dell'editore
Il caso ha fatto parlare praticamente chiunque ed è dunque inutile ripeterne le dinamiche (nel caso vogliate approfondire vi rimando a questo articolo di Pagina99), quel che conta è ciò che è sorto dalla questione: l'azienda di Bezos ha acquisito negli anni un potere di mercato enorme che, grazie proprio ai suoi servizi in espansione, si prospetta in continua crescita e questo gli permette ormai di soverchiare le case editrici stesse, che in confronto appaiono piccole comunità in equilibrio precario. 
Tornando dunque all'argomento dell'articolo: Kindle Unlimited sembra aderire perfettamente alla linea Amazon del "noi pensiamo prima al lettore" ma cerchiamo di essere sinceri: Bezos è un imprenditore non un'ente di beneficenza ed è logico che per questo motivo il suo scopo, come quello di tutta la sua macchina aziendale, sia il puro e semplice guadagno, alle volte anche a scapito dell'etica lavorativa (dobbiamo ricordare l'inchiesta circa lo sfruttamento operaio in Germania?). Questa non vuole essere una filippica anti-capitalista contro Amazon, si sta solo cercando di analizzare una realtà di fatto: mentre Spotify nasceva come un servizio indipendente e deve la sua fama esclusivamente a tale servizio, Kindle Unlimited sarebbe la ciliegina sulla torta di una realtà che ha già mostrato varie volte il suo crescente peso sull'intero mondo editoriale. Quando si parla di Amazon non si parla più solo dello store digitale più amato, si parla del marchio di e-reader più venduti al mondo,  si parla del formato e-book più utilizzato, si parla ormai dell'editore (o auto-editore, per essere corretti) a cui una larga fetta di aspiranti scrittori si rivolge. Tutto questo è stato possibile grazie ad una serie di indubbi vantaggi offerti al consumatore ma con un rovescio della medaglia che si può constatare nella suddetta diatriba con Hachette. Kindle Unlimited sarebbe sicuramente un vantaggio per il lettore, ma sarebbe lo stesso anche per editori e scrittori? Confidiamo che Amazon riesca a trovare accordi contrattuali equi per tutte le parti in gioco, resta però il fatto che un servizio simile andrebbe inevitabilmente ad ingrossare la forza della multinazionale statunitense. Siamo sicuri di volerci muovere in questa direzione, di voler affidare a questa grande e onnivora azienda tutta questa potenza? Il rischio è che il prossimo braccio di ferro tra Amazon e l'editoria tradizionale si concluda disastrosamente per la più debole delle due parti in gioco. Lo stesso Spotify continua inoltre a ricevere critiche circa il guadagno infinitesimale di case discografiche e artisti indipendenti: cosa ci dice che lo stesso non accadrà per case editrici e autori inglobati da Kindle Unlimited?
Il quadro catastrofico potrebbe essere questo: da una parte  un sistema che si arricchisce e tra vigore dal lavoro dell'editoria tradizionale, dall'altra quest'ultima che ci va sempre più a perdere non solo in termini di profitto ma anche di terreno sul mercato del libro. 
Ancora una vota: conviene davvero?



mercoledì 9 luglio 2014

Penny Dreadful: il nuovo American Horror Story nella Londra Vittoriana?




[Prima stagione]

Che la Vita più non divida, ciò che la Morte può unire.

I tipi di Showtime hanno palesemente tentato di realizzare un prodotto che scalzasse la serie di Ryan Murphy e Brad Falchuck - American Horror Story - dal trono sui cui siede da ben tre stagioni. Questo prodotto è Penny Dreadful, ideato da John Logan. Ci sono riusciti? 
No, ma del resto è difficile battere una serie che fa del suo punto forte una storyline la cui peculiarità è il nonsense di certi  risvolti e che ha praticamente fatto tesoro dei modelli narrativi del genere horror per poterlo rivoluzionare a suo modo: non si tratta sicuramente di una serie impeccabile, ma è sicuramente una delle migliori  degli ultimi tempi.
Penny Dreadful non è assolutamente da buttare, anzi, insieme a True Detecrive e il noeonato The Leftovers, è una delle più interessanti nuove proposte televisive del palinsesto annuale. Mi sembrava giusto chiarire innanzitutto questo punto, in quanto sin dalla comparsa del promo ci si chiedeva tutti quanti se sarebbe stata superiore alla serie della HBO, che, diciamocelo, nell'ultima stagione non ha dato proprio il suo meglio. 
I penny dreadful erano delle pubblicazioni periodiche nell'Inghilterra del XIX secolo che proponevano dei brevi racconti dell'orrore ad un prezzo molto basso - un penny, appunto. Si trattava di storie dallo scarso valore letterario, anche perché destinate al proletariato, ma importanti per la diffusioni del genere gotico, difatti il più noto di questi racconti è Varney il vampiro, che esercitò una certa influenza su un tale scrittore di nome Bram Stoker. 
La serie televisiva è dunque ambientata in una Londra vittoriana tipicamente ammantata di nebbia, per le strade della quale si muovono personaggi e snodano vicende che attingono a piene mani dalla cultura gotica dell'epoca. Ritroviamo infatti nomi celebri come Victor Frankestein, un giovane e pallido dottore ossessionato dal confine tra la vita e la morte, e la sua orribile e tormentata Creatura, l'etereo ed enigmatico Dorian Gray e la misteriosamente scomparsa Mina Murray. Tra di loro vi sono l'affascinante quanto oscura cartomante Vanessa Ives, il giovane americano  dal grilletto facile Ethan Chandler, in fuga dalla sua patria, e l'instancabile Sir Malcom, ex esploratore in cerca della figlia scomparsa, la suddetta Mina. 
La storyline si dispiega in linea orizzontale, eccetto un solo episodio totalmente dedicato al racconto di alcune vicende passate, e ciò che colpisce inizialmente è l'atmosfera generale, che non mancherà di ammaliare chi ha apprezzato film come Jack Lo Squartatore e Sweeney Todd. In particolare la carnagione pallida di tutti i personaggi, insieme alle occhiaie di Victor Frankenstein e ad un sigla piena di ragni e creaturine varie, conferiscono immediatamente a Penny Dreadful un sapore vagamente burtoniano. 
Il punto forte della serie sono sicuramente i personaggi, tutti quanti avvolti da un'aura di mistero che rende ancor più piacevole la scoperta della loro accurata psicologia nel corso degli episodi. Il tema portante di questa stagione sembra essere quello della colpa che, per motivi diversi, attanaglia la maggior parte dei protagonisti e che li porterà man mano a fare i conti con i mostri del passato (non solo metaforicamente). Sotto questo punto di vista sarebbe anche possibile trovare delle affinità proprio con American Horror Story: Coven, in cui campeggia come motivo centrale quello dell'inferno personale. Tra le varie performance spiccano in particolar modo quelle di Harry Treadaway e della sublime Eva Green, che fa un po' da corrispettivo di Jessica Lange nella serie targata HBO.
Ecco, a proposito della sublime Eva Green: la sua presenza è insieme la carta vincente e uno dei punti deboli di Penny Dreadful, poiché riesce decisamente a catturare lo spettatore in tutte le scene in cui è presente e regalando dei momenti di totale coinvolgimento, ma ottiene come effetto conseguente un certo calo di attenzione nei momenti di assenza, specialmente quando si ritorna a seguire il filo della trama generale. Non a caso le puntate più interessanti sono state, a mio parere, la 1x05 (Closer than sister) e la 1x07 (Possession). In particolare quest'ultima trovo che rappresenti la punta di diamante della stagione: non accadono grandi cose ai fini della storia ma gli sceneggiatori riprendono uno stilema sfruttatissimo del genere e lo ripropongono in maniera magistrale in un mix di tensione, dramma, spavento e claustrofobia, il tutto condito dal copione che fa di Penny Dreadful una serie colta, profonda e rispettosa del materiale da cui attinge. Non è raro, infatti, che i personaggi si interroghino su grandi temi come la morte, la fede e il dolore in momenti di grande impatto emotivo (vedi la scena tra Victor e Brona o nel season finale) e la maggior parte delle volte lo fanno destreggiandosi tra un verso di Keats e uno di Shakespeare. Il modo in cui vengono gestiti i personaggi "letterari" è allo stesso tempo personale e fedele alla tradizione: le loro vicende e il loro approfondimento psicologico sono allineati  ai canoni classici ma vengono comunque inseriti in un disegno più grande che collega il tutto senza cadere nell'effetto polpettone. Cosa che in una serie con tali premesse è un rischio sempre in agguato (vedi Once Upon a Time). Lo stesso Dorian Gray, che per questa prima stagione sembra rimanere un personaggio marginale, non perde comunque il fascino dell'opera originale e acquista nuovi promettenti risvolti grazie al rapporto con il personaggio di Vanessa. 
Gli stessi plausi non si possono fare alle vicende della macrostoria. La ricerca di Mina non riesce assolutamente ad interessare lo spettatore e non vi sono colpi di scena che siano effettivamente tali: (spoiler!) chi non aveva previsto sin dalla prima puntata come sarebbe andata a finire tra Sir Malcom e sua figlia?
Il modo in cui viene trattato l'horror è, a prescindere proprio dalla 1x07, quasi altrettanto trascurabile. Come ho già detto, non manca sicuramente di rispetto al genere ma si poteva osare molto di più e, sotto questo punto di vista, il paragone con American Horror Story è decisamente affossante: l'horror di Penny Dreadful genera ben poco terrore e non propone nulla di particolarmente interessante o innovativo. Per fare un esempio, la figura del vampiro risulta utile per girare qualche veloce scena d'azione per poi essere caldamente liquidata e gettata nel dimenticatoio. Alcune vicende sono velocizzate probabilmente a causa delle poche puntate a disposizione e ne deriva che spunti largamente sviluppabili come i richiami alla cultura egiziana si risolvano poi piuttosto semplicisticamente.
Detto questo, la conclusione dell'ultima puntata mi ha sicuramente lasciato l'amaro in bocca all'idea di dover aspettare un anno prima di rivedere Vanessa Ives e i suoi compagni d'avventura. Questa buona prima stagione, che probabilmente serviva più che altro a lanciare lo show e vedere come andava, si chiude con innumerevoli possibilità di sviluppo ma anche rischi di fallimento, tutto dipenderà da come si deciderà di portare avanti la cosa. Ho grandi aspettative per il personaggio del conte Dracula, la cui presenza è stata sottintesa per tutti gli otto episodi, e sono curioso di vedere come procederà la storyline di personaggio di Dorian. Mi auguro che non si esageri con l'introduzione di nuovi personaggi e a tal proposito ribadisco ancora una volta: evitiamo l'effetto Once Upon a Time!


giovedì 12 giugno 2014

Diari Dal Sottosuolo: intervista a Laura MacLem

Clicca qui per leggere un'anteprima del libro.
Circa un anno fa si aprivano le danze del concorso Chrysalide Mondadori che prevedeva la premiazione di cinque racconti per cinque rispettive categorie di genere: fantasy, urban fantasy, fantascienza, paranormal romance, narrativa realistica. La pre-selezione dei racconti venne affidata a cinque diversi blog letterari, sul alcuni dei quali ci sarebbe sicuramente stato molto da discutere. Sicuramente azzeccata fu, però, la scelta della redazione di Diario di Pensieri Persi per la categoria dei racconti urban fantasy, dalla quale uscì poi vincitore Giacomo Bernini con il suo Pandora. 
Ma cosa ne è stato degli altri racconti? Probabilmente in mezzo a tutte le storie in concorso ce ne saranno state molte altre degne di essere portate alla conoscenza del grande pubblico. Probabilmente è questo che ha pensato la redazione di Diario, che tramite il suo progetto parallelo - Speechless Magazine, a cui fanno capo le ormai numerose pubblicazioni targate Speechless Books  - ha creato un'antologia con i cinque milgiori racconti scartati dal suddetto concorso arricchendola con i contributi di Stefania Auci, Laura MacLem, Gisella Laterza, Giulia Marengo  e Romina Casagrande. A introdurre il tutto vi è una splendida prefazione di un maestro italiano del fantasy, Luca Tarenzi (autore, tra gli altri, di Godbreaker, edito da Salani). Diari dal sottosuolo è disponibile in tutti gli storie online sia in digitale ad un prezzo stracciato che in versione cartacea, nel caso volgiate ammirare a pieno la splendida cover curata dall'artista spagnolo Mario S. Nevado. Tutti i ricavati delle vendite del cartaceo saranno devoluti in beneficenza ad Emergency. 
Di seguito trovate, inoltre, un'intervista che Sangue d'inchiostro ha avuto l'onore di fare ad una delle autrice che hanno voluto contribuire al progetto, Laura MacLem, che lo scorso anno ha pubblicato con Asengard L'incanto di cenere, un oscuro retelling della fiaba di Cenerentola. 

Ciao, Laura, benvenuta. Che ne dici di presentarti ai lettori del blog? Parlaci di te e del tuo percorso da scrittrice emergente, cosa ti ha portato a entrare nell’antologia Diari dal sottosuolo?

Principalmente, la sfida di scrivere un racconto. Non mi ci metto mai di mia spontanea volontà, perché sono una logorroica e finisco regolarmente per tracimare, sfondo gli argini e vado avanti per pagine e pagine. I racconti non consentono sgarri e vogliono che tutto stia dove deve stare.  Mi riescono difficili. Per questo non resisto alla tentazione quando mi viene proposto un tema avvincente come quello di Diari dal Sottosuolo, la fantasia mi è partita, e il resto è venuto da sé.
Devo anche dire che il fatto della raccolta a scopo benefico ha giocato un buon 50% nella mia decisione.

Se dovessi descrivere l’urban fantasy a qualcuno totalmente ignorante del genere, cosa diresti? Quali libri gli consiglieresti per avere un riscontro pratico?

Personalmente penso che si parli di urban fantasy quando la storia riguarda una mitologia, o meglio un mondo sovrannaturale, nascosto agli occhi della gente, salvo ai personaggi coinvolti nella storia, il cui problema è, appunto, di entrare a contatto con un mondo le cui leggi e regole sono diverse da quelle cui siamo abituati.
Ovviamente è una definizione molto vaga, di quelle sbozzate con l'accetta, giusto per dare un'idea. Entrando più nello specifico, ci sarebbe da tenere conto di decine di altri elementi (epoca storica, interazioni tra i personaggi, contaminazioni tra generi), ma a questo punto, il nostro ipotetico profano sarebbe già scappato, quindi meglio fermarsi qui.
Tra gli urban fantasy che ho amato di più ci sono: American Gods di Gaiman (okay, tutto Gaiman: libri, graphic novel, sceneggiature di puntate di telefilm, scontrini del supermercato, Gaiman è Gaiman), il ciclo dei Guardiani della Notte di Luk'janenko, l'ottimo Godbreaker di Luca Tarenzi, Pan di Francesco Dimitri.

Ti definiresti una “scrittrice urban fantasy”? Ci sono degli scrittori a cui fai riferimento o che ti hanno ispirata?

Io scrivo fantasy, in qualsiasi accezione, e anzi sono particolarmente legata all'epic, quindi alla sua declinazione più classica. Ma, per me, qualsiasi cosa riguardi l'intangibile, l'inconoscibile, il mistico e il magico, è come un negozio di cioccolatini aperto che distribuisce assaggi gratis a volontà: mi ci butto!
Ho iniziato a leggere fantasy da bambina, e gli autori che mi hanno segnata sono quelli di allora: Michael Ende, Marion Zimmer Bradley, l'immancabile Tolkien, ma anche Tanith Lee, Ann McCaffrey, Pat O'Shea (chissà se qualcuno se la ricorda?) il George Martin pre-ASOIAF, e a costo di prendere botte dai puristi, Dune di Herbert.

Il tuo romanzo L’incanto di cenere fa spesso riferimento alle pratiche della magia nera, così come Parcheggio Riservato, ne deduco che l’argomento ti interessi parecchio. C’è un motivo preciso? Come mai scegliere di parlare di magia e non vampiri, licantropi, fantasmi…? Fai qualche ricerca prima di scrivere o ti lasci andare alla creatività?

Ricerche e documentazione SEMPRE. Prima, durante e dopo la scrittura. I lettori di fantasy sono particolarmente esigenti su questo, e hanno ragione a parer mio, perché fin troppo spesso si sente il tormentone “tanto è fantasy!”, per giustificare sciocchezze senza senso, svilenti per chi scrive e irritanti per chi legge. Per quanto mi è possibile, cerco di evitarlo.
L'argomento della stregoneria mi interessa quanto il resto dell'ambito del fantastico, cioè moltissimo. E poi, diciamocelo: quale creatura più potente e pericolosa esiste, in qualsiasi tipo di narrativa e in qualsiasi genere letterario, della dolce nonnina o della fanciulla delicata tutta boccoli e frufru?

Non voglio rovinare ai lettori la lettura del tuo racconto, quindi cercherò di non entrare più nello specifico, ma se dovessi usare una sola parola per descriverlo?

Userei le stesse parole di Frank Castle, penso: “Non vendetta, punizione”.

Progetti ricchi e curati come Diari dal sottosuolo dimostrano la potenzialità della pubblicazione digitale, credi che anche il resto dell’editoria debba orientarsi in tale direzione e in che modo?

Credo che gli ebook siano destinati ad affiancare al 100% i libri cartacei, e prima gli editori tradizionali decideranno di prendere in mano la situazione offrendo agli acquirenti la possibilità di scegliere, meglio sarà.

Diari dal sottosuolo ha avuto una redazione alle spalle che ha selezionato gli autori e gli ha seguiti nell’editing, cosa che non accade per il self-publishing. A proposito di quest’ultimo, qual è il tuo parere? Avresti mai il coraggio di autopubblicarti?

In realtà l'ho già fatto, diversi anni fa.
Ho messo a disposizione per il download il romanzo di fantascienza New Babel (http://www.stellascarlatta.com/opere-pubblicate/cronache-del-mondo-strambo/) e il libretto di fantasy comico Cronache del Mondo Strambo, (http://www.stellascarlatta.com/opere-pubblicate/cronache-del-mondo-strambo/) quando ancora il self-publishing era nascente e non diffuso come oggi.
È stata un'esperienza molto positiva per me, ma ammetto di non conoscere molto l'ambiente attuale.

Sappiamo tutti che le condizioni dell’editoria italiana non sono delle più rosee, vorrei, però, azzardare lo stesso e chiederti se vi sono dei progetti futuri in vista.

Parlerò solo in presenza del mio avvocato! :D



mercoledì 11 giugno 2014

Recensione: Il Vangelo dei bugiardi - Naomi Alderman

Titolo: Il vangelo dei bugiardi
Autore: Naomi Alderman
Prezzo: 17.00€
Pagine: 284, brossura
Editore: Feltrinelli/Nottetempo


Trama: "Il Vangelo dei bugiardi" è la storia a quattro voci di un ebreo di nome Yehoshua di Nazareth, profeta e guaritore, che attraversa i territori di Israele schiacciati dall'occupazione romana predicando un credo visionario in tempi di guerra, "Ama il nemico tuo come te stesso". Nelle parole di chi l'ha conosciuto, ma il cui punto di vista è assente nel racconto degli evangelisti, la madre abbandonata che lo ha messo al mondo, il discepolo che l'ha tradito, il sommo sacerdote che lo ha accusato di blasfemia e il ribelle che si salva al suo posto, viene ricostruita la sua vita. Il ritratto di un figlio ostinato e silenzioso in cerca di un padre nel regno dei cieli, un amico vanesio che si lascia blandire dalla gloria, un folle che porta disturbo alla quiete del sacro Tempio e un alleato da conquistare alla lotta contro l'oppressore. Se, come dice Naomi Alderman intrecciando mito e fede, "ogni racconto è almeno in parte una bugia", questi vangeli moderni rendono inedita una vicenda che pensiamo di conoscere, ricostruiscono un miracolo umano di sangue e polvere, la storia possibile di un uomo mortale dopo il quale il mondo non è stato più lo stesso.

Recensione:
Il vangelo dei bugiardi è un libro piacevole. Un libro piacevole che non è stato però gestito come meritava. Perché tutto quello che questa recensione vorrà dire è: perché un libro che si propone di raccontarci una cosa del genere osa per poi frenare, costruisce per poi fermarsi a metà e lasciarci un po' (un bel po') interdetti? Perché un libro piacevole alla fine non mi ha lasciato poi così tanto? 
Naomi Alderman decide di raccontarci una storia niente male, qualcosa che a prima vista è allettante nella prospettiva più curiosamente infima del termine. Ci racconta dunque una parte abbondante della vita di Gesù, vista attraverso gli occhi, ma ben più corretto è dire attraverso i sentimenti, di quattro coprotagonisti: Maria, Giuda, Caifa e Barabba. 
I punti di vista sono ovviamente terribilmente intriganti. Maria è la madre letteralmente smarrita nel dolore, nella disperazione di veder andare via il proprio figlio. Una madre tipicamente madre se così si può dire, ma allo stesso tempo lei è Maria, quella Maria. 
Maria vede suo figlio ma non riesce a capire, si sente tradita. Le sue parole nei confronti di un figlio che predica nei tempi, che sfida rabbini sono confuse, piene di pena. 
Giuda è un punto di vista ancora più interessante, è chiaro. A mio parere è anche una delle due figure meglio riuscite. Perché è chiaro che quando si parla di Giuda se ne deve parlare in una maniera accattivante, e la Alderman riesce a farlo spingendo il suo personaggio in una luce ovvia ma allo stesso tempo intelligente. Giuda segue una logica giustissima. È chiaro di chi stiamo parlando, vende il suo maestro, è il traditore. Ma vista attraverso i suoi occhi la situazione è intollerabile. E non solo, ma è anche inconcepibile. Giuda è pieno di volontà, ma allo stesso tempo vede che la cosa sta sfuggendo di mano e si sta evolvendo in una maniera che, vien da dire giustamente, non gli piace. 

Gli altri odiavano Iehuda, per le cose che diceva. Notava che il senso del pericolo li inebriava, poiché era allo stesso tempo un senso di potere. Lui non riusciva più a distinguere tra verità e menzogne. 

Dico che è la parte meglio riuscita proprio per questo. Mi spiego, quello che la Alderman si propone di fare non è quello che si definirebbe una cosa semplice e leggera. O forse sì, potrebbe esserlo, e lei deve averlo pensato. È normale che la storia vista dal punto di vista degli ebrei, dal punto di vista poi di qualcuno così "interessante", debba presupporre un buon coinvolgimento ma forse ha appunto ritenuto di poterla rendere anche fruibilissima. Ebbene, secondo me ha trovato il compromesso solo nella parte di Giuda e, già in maniera minore, in quella di Caifa.
Caifa, il cattivo, che comunque sia è umano, è un essere vivente dotato di logica e magari di preoccupazioni, appunto, molto umane. Anche questa parte è godibilissima e la figura di Caifa è descritta in una maniera molto toccante (aggettivo banale ma adatto). Il problema è che la situazione traballa di nuovo, è un po' ovvia, un po' costruita. Se la Alderman fosse riuscita a rendere tutto molto spontaneo e allo stesso tempo fosse stata capace di attutire quella volontà di essere vicina al lettore sembrando però molto spicciola questo libro avrebbe reso molto di più. Forse. Perché ripeto, se ti proponi qualcosa del genere non puoi essere ovvia, è un tema, una ricerca già sentita, devi metterci qualcosa di vivido, e non puoi essere breve. 
Il titolo originale dell'opera è "The Liars' Gospel". Quel Gospel io proprio non l'ho sentito. Meno che mai nell'ultima parte, quella di Barabba, dove tecnicamente si dovrebbe raggiungere il picco massimo della tensione. Il picco non si raggiunge perché per quanto la figura di Barabba sia affascinantemente tratteggiata tutto si risolve in una sbuffo di poco clamore. Il problema è che la soluzione era così vicina. Ho letto alcune parti in lingua e la Alderman ha un tratteggio molto spontaneo, sincero, i suoi personaggi potevano essere molto più pieni, più ricchi. Invece no. Sembra proprio che si sia frenata, uscendo un po' allo scoperto, per poi riprendere le fila educatamente, composta, ma fin troppo.