mercoledì 11 giugno 2014

Recensione: Il Vangelo dei bugiardi - Naomi Alderman

Titolo: Il vangelo dei bugiardi
Autore: Naomi Alderman
Prezzo: 17.00€
Pagine: 284, brossura
Editore: Feltrinelli/Nottetempo


Trama: "Il Vangelo dei bugiardi" è la storia a quattro voci di un ebreo di nome Yehoshua di Nazareth, profeta e guaritore, che attraversa i territori di Israele schiacciati dall'occupazione romana predicando un credo visionario in tempi di guerra, "Ama il nemico tuo come te stesso". Nelle parole di chi l'ha conosciuto, ma il cui punto di vista è assente nel racconto degli evangelisti, la madre abbandonata che lo ha messo al mondo, il discepolo che l'ha tradito, il sommo sacerdote che lo ha accusato di blasfemia e il ribelle che si salva al suo posto, viene ricostruita la sua vita. Il ritratto di un figlio ostinato e silenzioso in cerca di un padre nel regno dei cieli, un amico vanesio che si lascia blandire dalla gloria, un folle che porta disturbo alla quiete del sacro Tempio e un alleato da conquistare alla lotta contro l'oppressore. Se, come dice Naomi Alderman intrecciando mito e fede, "ogni racconto è almeno in parte una bugia", questi vangeli moderni rendono inedita una vicenda che pensiamo di conoscere, ricostruiscono un miracolo umano di sangue e polvere, la storia possibile di un uomo mortale dopo il quale il mondo non è stato più lo stesso.

Recensione:
Il vangelo dei bugiardi è un libro piacevole. Un libro piacevole che non è stato però gestito come meritava. Perché tutto quello che questa recensione vorrà dire è: perché un libro che si propone di raccontarci una cosa del genere osa per poi frenare, costruisce per poi fermarsi a metà e lasciarci un po' (un bel po') interdetti? Perché un libro piacevole alla fine non mi ha lasciato poi così tanto? 
Naomi Alderman decide di raccontarci una storia niente male, qualcosa che a prima vista è allettante nella prospettiva più curiosamente infima del termine. Ci racconta dunque una parte abbondante della vita di Gesù, vista attraverso gli occhi, ma ben più corretto è dire attraverso i sentimenti, di quattro coprotagonisti: Maria, Giuda, Caifa e Barabba. 
I punti di vista sono ovviamente terribilmente intriganti. Maria è la madre letteralmente smarrita nel dolore, nella disperazione di veder andare via il proprio figlio. Una madre tipicamente madre se così si può dire, ma allo stesso tempo lei è Maria, quella Maria. 
Maria vede suo figlio ma non riesce a capire, si sente tradita. Le sue parole nei confronti di un figlio che predica nei tempi, che sfida rabbini sono confuse, piene di pena. 
Giuda è un punto di vista ancora più interessante, è chiaro. A mio parere è anche una delle due figure meglio riuscite. Perché è chiaro che quando si parla di Giuda se ne deve parlare in una maniera accattivante, e la Alderman riesce a farlo spingendo il suo personaggio in una luce ovvia ma allo stesso tempo intelligente. Giuda segue una logica giustissima. È chiaro di chi stiamo parlando, vende il suo maestro, è il traditore. Ma vista attraverso i suoi occhi la situazione è intollerabile. E non solo, ma è anche inconcepibile. Giuda è pieno di volontà, ma allo stesso tempo vede che la cosa sta sfuggendo di mano e si sta evolvendo in una maniera che, vien da dire giustamente, non gli piace. 

Gli altri odiavano Iehuda, per le cose che diceva. Notava che il senso del pericolo li inebriava, poiché era allo stesso tempo un senso di potere. Lui non riusciva più a distinguere tra verità e menzogne. 

Dico che è la parte meglio riuscita proprio per questo. Mi spiego, quello che la Alderman si propone di fare non è quello che si definirebbe una cosa semplice e leggera. O forse sì, potrebbe esserlo, e lei deve averlo pensato. È normale che la storia vista dal punto di vista degli ebrei, dal punto di vista poi di qualcuno così "interessante", debba presupporre un buon coinvolgimento ma forse ha appunto ritenuto di poterla rendere anche fruibilissima. Ebbene, secondo me ha trovato il compromesso solo nella parte di Giuda e, già in maniera minore, in quella di Caifa.
Caifa, il cattivo, che comunque sia è umano, è un essere vivente dotato di logica e magari di preoccupazioni, appunto, molto umane. Anche questa parte è godibilissima e la figura di Caifa è descritta in una maniera molto toccante (aggettivo banale ma adatto). Il problema è che la situazione traballa di nuovo, è un po' ovvia, un po' costruita. Se la Alderman fosse riuscita a rendere tutto molto spontaneo e allo stesso tempo fosse stata capace di attutire quella volontà di essere vicina al lettore sembrando però molto spicciola questo libro avrebbe reso molto di più. Forse. Perché ripeto, se ti proponi qualcosa del genere non puoi essere ovvia, è un tema, una ricerca già sentita, devi metterci qualcosa di vivido, e non puoi essere breve. 
Il titolo originale dell'opera è "The Liars' Gospel". Quel Gospel io proprio non l'ho sentito. Meno che mai nell'ultima parte, quella di Barabba, dove tecnicamente si dovrebbe raggiungere il picco massimo della tensione. Il picco non si raggiunge perché per quanto la figura di Barabba sia affascinantemente tratteggiata tutto si risolve in una sbuffo di poco clamore. Il problema è che la soluzione era così vicina. Ho letto alcune parti in lingua e la Alderman ha un tratteggio molto spontaneo, sincero, i suoi personaggi potevano essere molto più pieni, più ricchi. Invece no. Sembra proprio che si sia frenata, uscendo un po' allo scoperto, per poi riprendere le fila educatamente, composta, ma fin troppo.



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