mercoledì 10 ottobre 2012

Speciale Paranormal October: Stephen King, il Prestigiatore dell'invisibile



A cura di Miriam Mastrovito
Nell'immaginario collettivo Stephen King e il terrore viaggiano a braccetto. Sebbene l’etichetta di scrittore horror sia restrittiva per questo autore che, nel corso degli anni, si è rivelato eclettico proponendo spesso interessanti commistioni di generi e cavalcando l’onda del fantastico in senso lato, è innegabile che l’appellativo di “Re del brivido” gli calzi a pennello. D’altra parte egli stesso ritiene impossibile tracciare una netta linea di demarcazione tra fantasy, fantascienza e horror. Si tratta infatti di generi accomunati dal tentativo di creare mondi che non esistono, o non possono esistere, e i confini tra l’uno e l’altro risultano molto labili. L’orrore può scaturire dall’incontro con un mostro così come può giungere dallo spazio, può affondare le sue radici nel soprannaturale ma può anche essere scientifico.
A connotarlo è fondamentalmente la paura, sentimento che lui scandaglia abbondantemente nella sua opera e che, al pari di uno scaltro prestigiatore – o se preferite di uno psicologo sopraffino – destreggia con abilità declinandolo in tutte le sue molteplici sfaccettature.
Ma in che modo un romanzo o un racconto può centrare l’obiettivo di turbare il sonno del lettore?
Nel suo saggio Danse Macabre(1981), King distingue tre diversi livelli attraverso cui può esprimersi la paura. Il primo livello, quello più “grossolano”, coincide con il sentimento di repulsione. A scatenare il terrore in questo caso è l’impatto con un’immagine forte e raccapricciate, l’elemento splatter. Il secondo livello corrisponde al sentimento di orrore, provoca una reazione fisica mostrandoci qualcosa di “sbagliato”, come potrebbe esserlo un fantasma o un vampiro, senza necessariamente ricorrere all'esibizione del sangue o di interiora rivoltate. Il terzo livello, invece, è quello del terrore fine che irretisce senza bisogno alcuno di mostrare qualcosa di tremendo. È quel sentimento che Freud chiama perturbante e che insorge quando una cosa, una situazione, una persona ci appare familiare ed estranea allo stesso tempo. È una sorta di punto di rottura, un elemento dissonante che irrompe nella realtà provocando un senso di smarrimento, è lo strano rumore proveniente dal vostro armadio nel cuore della notte, per intenderci. Per dirla con le parole di King, il terrore fine, si ha quando “una storia dell’orrore riesce a unire il conscio e il subconscio attraverso una sola, potente idea”. A tale proposito, l’autore, riferisce un aneddoto biografico per meglio esplicitare il concetto.
“Per me il terrore – il vero terrore, ben diverso da tutti i demoni e gli orchi che avrebbero potuto vivere nella mia mente – cominciò un pomeriggio di ottobre del 1957. Avevo appena compiuto dieci anni. E, come era giusto che fosse, mi trovavo al cinema […]” Così racconta proprio in apertura del succitato saggio. Il film proiettato in sala era La Terra contro i dischi volanti, ma a scatenare il sentimento di paura nel piccolo Steve non furono gli alieni maligni della pellicola, bensì la brusca interruzione della stessa, attuata dal direttore di sala per annunciare che i russi avevano messo un satellite spaziale in orbita intorno alla terra: lo spootnik. È nello schermo nero, in quello strappo improvviso e sconosciuto, nell'imprevedibilità di quell'evento  che King colloca l’esperienza del terrore. È il buio che inghiotte le immagini in un momento inatteso, il non sapere chi e perché ha fermato il film, cosa può nascondersi dietro quel gesto insolito a provocare la paura.
Rimanendo nella metafora, si può affermare che di schermi neri la produzione letteraria del Re è piena e, forse, è proprio a questo che si deve buona parte del suo successo.
Egli non rinuncia a nessuno dei tre livelli sopra descritti, in diversa misura sono tutti rintracciabili nei suoi scritti. Non mancano le descrizioni splatter, sebbene non ne abusi. L’immagine di It spogliatosi dei panni di Pennywise nelle fogne di Derry, il raccapricciate parto di Susannah ne La torre nera o i macabri pasti del protagonista de La zattera che per sopravvivere su un’isola deserta arriva al punto di mutilarsi e cibarsi del suo stesso corpo ne sono solo un piccolissimo esempio. Allo stesso modo, non mancano i tipici archetipi dell’immaginario horror che la fanno da protagonisti in diversi dei suoi libri. Dai vampiri de Le notti di Salem, ai ritornanti di Pet Sematary, passando per il Diavolo di Cose preziose, King ci propone un vasto campionario di creature soprannaturali in grado di suscitare orrore. A contraddistinguere più di tutto la sua vastissima produzione, tuttavia, è il terrore fine che costantemente si connota come elemento imprescindibile delle sue storie. Diversi sono i romanzi in cui King punta tutto sul perturbante lasciando scaturire l’orrore da situazioni eccezionali eppure probabili o mettendoci al confronto con mostri che non hanno zanne né artigli affilati ma non di meno ci terrorizzano. Basti pensare a Annie Wilkes di Misery, una donna assolutamente innocua nell’aspetto e tanto gentile da prestare soccorso a un uomo in difficoltà che però si tramuterà in una spietata carnefice; a Thad Beaumont de La metà oscura che similmente al Mr Hyde di Stevenson, convive con un terrificante gemello o al Jack Torrance di Shining che da padre amorevole si tramuta in feroce assassino. Questi sono solo alcuni dei suoi personaggi più celebri, ma si potrebbero attingere moltissimi altri esempi simili da opere come Rose Madder, Mucchio d’ossa, L’occhio del male, Dolores Claiborne, Duma Key… e l’elenco si potrebbe protrarre oltre. Del resto anche prendendo in esame romanzi come It in cui il mostro, inteso nella sua accezione più comune, è presente e ha un aspetto oltremodo raccapricciante ad atterrire davvero il lettore è qualcosa di diverso. Chiunque abbia letto il libro o abbia visto la sua trasposizione cinematografica, potrà testimoniare che a rimanere impressa e a scatenare gli incubi più neri non è l’immagine della rivoltante creatura che si palesa nelle fogne, ma quella del pagliaccio che si affaccia dal tombino offrendo i suoi palloncini colorati.
Stabilito cosa e come può farci paura, rimane ancora un interrogativo su cui vale la pena riflettere prima di concludere questa breve escursione nell'universo Kinghiano.
Perché tutto ciò al lettore piace? Perché ama intrattenersi con storie che provocano un senso di disagio?
È un interrogativo su cui King si è soffermato in più occasioni ma probabilmente, è nella sua prefazione alla raccolta A volte ritornano che in maniera quanto mai chiara e univoca ci suggerisce la sua personale risposta. La molla che spinge ad accostarsi all’horror è la stessa che induce l’automobilista a rallentare in prossimità di un incidente stradale per vedere le vittime. Non si tratta di un istinto raro o perverso. Il cadavere sotto il lenzuolo ci ricorda  la nostra caducità, risveglia in noi la consapevolezza di avere a nostra volta un appuntamento con l’Oscura Signora a cui non potremo sottrarci e che rappresenta la summa di tutte le paure umanamente concepibili. L’atto di sollevare il lenzuolo e sbirciare sotto rappresenta una sorta di prova generale di quell'esperienza terrificante e ineludibile di cui un giorno saremo protagonisti. L’horror fondamentalmente ci offre un modo per venire a patti con ciò che ci terrorizza. Ma non solo questo. Un racconto dell’orrore può aiutarci ad esorcizzare la paura ma anche permetterci di esercitarla, o meglio, di esercitare quelle emozioni che la società ci impone di tenere sotto controllo. Da questo punto di vista svolge dunque una funzione liberatoria.
Perché il meccanismo funzioni è indispensabile il raggiungimento di quello stato d’animo definito “sospensione dell’incredulità”. Da una parte è necessario che l’autore sia tanto abile da non farci scorgere la cerniera lampo sulla schiena del mostro, dall’altra però occorre che il lettore sia adeguatamente allenato o predisposto.
“L’incredulità” – spiega King in Danse Macabre –   non è come un pallone, che può essere sospeso in aria con uno sforzo minimo; è come un peso di piombo, e deve essere alzato e tenuto su con la forza. L’incredulità non è leggera, è pesante.”
Il lettore ideale di horror (e di narrativa fantastica in generale) è quindi colui i cui muscoli dell’immaginazione sono sufficientemente allenati, così come lo sono quelli dei bambini che, a giudizio del Re, sono dei veri e propri prestigiatori dell’invisibile.
A questo punto non vi resta che mettervi alla prova per scoprire quanto allenata sia la vostra mente e fino a che altezza siete capaci di arrivare.

Cosa ne pensi? Lascia il tuo commento.


6 commenti:

  1. Tutto vero ciò che è scritto, anche se non sono tanto appassionato del genere, devo dire che ha perfettamente ragione king!

    RispondiElimina
  2. Articolo curato, ben scritto e approfondito. davvero tanto di cappello a Miriam. Ho letto molti libri del Re e posso tranquillamente affermare che ognuno di essi è una piccola perla che definire horror è quasi sminuente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io non ho ancora letto granché del Re, ma posso dire che la tua opinione è ben diffusa :D

      Elimina
  3. Questo articolo è davvero fantastico! Ti dico solo che Stephen King è stato il mio primo amore all'età di 12 anni con Cujo e Pet Sematary (giuro che non ero una bambina che strappava le ali alle farfalle!) e da allora non ho mai smesso di leggerlo!
    Ho un premio per il blog qui http://libridilo.blogspot.it/2012/10/premio-simplicity.html
    Ciao :)

    RispondiElimina
  4. Piccolo premio per il vostro blog: http://mycaffeletterario.blogspot.it/2012/10/premio-simplicity.html

    Un abbraccio!
    Ottimo articolo Miriam! ;)

    RispondiElimina